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16 Giugno 2020A cura di Antonello Palladino
Una delle cose più belle – nonostante “bello” sia un aggettivo di difficile esistenza in questi mesi – che ci sia capitato di leggere durante il fatidico lockdown italiano, è un progetto della nostra amica Donatella Caprioglio, psicologa, scrittrice; una delle pochissime che si sia chiesta, in modo non banale: che ne pensano i bambini di tutto questo?
Questa domanda, grazie alla collaborazione di un blog di mamme – mamme che sono a tutti gli effetti uno dei gruppi “carbonari” più potenti del decennio, ma questa è un’altra storia – è diventata un libro di disegni: “l’immaginario dei bambini ai tempi del corona-virus”, disponibile in rete, qui.
Donatella ha fatto ai bambini due domande molto semplici: 1, puoi disegnare il coronavirus?; 2, cosa si potrebbe fare per sconfiggerlo?
Ha fatto queste domande a due gruppi di bambini, quelli in età pre-scolare (4-5 anni), e quelli scolarizzati (6-8 anni).
Il risultato di questo progetto è qualcosa di interesse e profondità enormi. Non c’è bisogno di commentarlo, perché puoi guardare direttamente con i tuoi occhi.
Aggiungiamo qui sotto solo un paio di immagini, fra quelle che più ci hanno colpito: quella di Adele (4 anni) e di Caterina (8 anni):
Ora, a proposito del titolo, vorrei mettere attenzione su un altro aspetto “collaterale” di questo progetto, che forse mai avevo notato in maniera così chiara, sintetica e impressionante: che cosa succede all’immaginario dei bambini nel passaggio fra la pre-scolarizzazione e la scolarizzazione?
A guardare i disegni e la ricerca di soluzioni, è evidentissimo, in generale, che l’immaginario subisce una riduzione silenziosa così eclatante, da fare impressione.
Questo fa emergere una serie di domande scomode sull’azione grigia della scuola, della società. Non voglio dire che le risposte a queste domande siano scontate e non credo che vadano altrettanto banalizzate, però, soprattutto in una situazione come questa, non possiamo non porci il problema, grosso, che riguarda il futuro.
Intanto, ho deciso di scrivere direttamente a Donatella e riporto di seguito lo scambio:
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✍ Caro Antonello,
il mondo immaginario comincia dalla culla e nasce dal vuoto.
Quando il bambino guarda gli animaletti sopra la culla dopo un po’ si stanca, prende allora la sua mano e se la porta in bocca, poi lascerà anche questa e ci proverà con il suo piedino. In questo modo scoprirà i limiti del suo corpo. Poi si stancherà anche di quello e comincerà a piangere per richiamare la madre e se questa sarà abbastanza serena per non correre subito, dopo un po’ si stancherà anche di piangere e comincerà a sognare.
Da questo vuoto nasce la creatività, il mondo immaginario.
Ecco perchè non ha senso rispondere troppo presto alle domande del bambino, riempirlo di inutili giochi.
Dalla nascita fino ai cinque anni il bambino è abitato da pulsioni (forze libidiche o vitali) che investono delle parti del suo corpo, la zona orale, anale e genitale e queste zone erogene saranno investite per raggiungere l’appagamento dei bisogni e lo stato di pace simile a quello del paradiso perduto. (come succedeva ai tempo intrauterino).
Verso i 6/7 anni il bambino entra in una stagione di latenza che dura fino alla preadolescenza, con uno spegnimento della fase pulsionale e un adattamento alle regole sociali. Per questo l’età della scolarizzazione comincia a questa età e non è giusto anticiparla, proprio perchè per un bambino dominato dalle pulsioni è difficile restare ore seduto e avere lo spazio mentale per apprendere le cose.
Questo per spiegarti perchè i disegni dei bambini in età prescolare risultano più spontanei, incredibili, a volte rivoluzionari. Il cervello del bambino usufruisce di tutti gli stimoli esterni che lo colpiscono, senza limiti e filtri, mischiandolo alle emozioni interne ancora dominate da un mondo fantastico, animistico e dotato di poteri magici. Sono assolutamento dentro a questo immaginario e proprio per questo la forza dei disegno sottolinea l’unicità e l’originalità del loro pensiero unico ed egocentrico.
Piu tardi il dovere di normalizzazione spegne l’entusiasmo, la libertà di dire qualsiasi cosa, e si incanala in una regola alla quale il bambino si sottopone (non tutti) per essere conforme al volere di quello che la società (scuola)richiede da lui. Cominciano i confronti, le paure di non riuscire, l’insegnamento più o meno attento a mantenere in quel bambino l’unicità e la capacità di stare con gli altri.
Qui la qualità dell’insegnamento gioca molto. La trasmissione dell’insegnante dovrebbe essere “affettiva” (tutto l’insegnamento passa per l’affettivo) oltre che nozionistica e attenta alla particolarità persona. Non dipende dal numero dei bambini, quanto dalla sensibilità dell’insegnante. Tutti ci ricordiamo dei maestri bravi.
Per rispondere alle tue domande confermo che i bambini in età prescolare hanno una risposta che ci sorprende, ci sovrasta direi, perche sono liberi da condizionamenti. Dovremmo farli disegnare di più perche hanno delle verità che noi abbiamo da tempo perduto.Vederli come oracoli e non sorrido a dire questo.
I piu grandi invece sono presi da altre dinamiche che li imprigionano nel giudizio.
Ma non è tutto perduto se questa unicità viene coltivata da chi sta loro intorno.