L’immaginario dei bambini e la scuola
11 Giugno 2020Effetti di un sogno interrotto – Luigi Pirandello (1936) | RadioRacconto
19 Giugno 2020♬
Zap – All’inizio della salita di questo dialogo, mi piacerebbe parlare delle idee.
In questo periodo penso spesso attorno alla potenza delle idee; ai frammenti.
La prima ipotesi è che molte idee non ci appartengono. Noi siamo antenne che captano segnali radio. Le idee sono come quei segnali radio. È il motivo per cui spesso alcune idee nascono simili contemporaneamente in posti lontanissimi.
La seconda ipotesi riguarda l’innesco delle idee: noi possiamo captarne qualcuna – sintetizzando biochimicamente i nostri passi con quelle frequenze radio – e poi innescarle, amplificare il segnale attraverso la carne, in modo più o meno potente, profondo, ed è quell’innesco l’unica cosa che ci appartiene, di cui siamo parenti. Le idee migliori sono quelle che trasporta il vento, leggere; poi ce ne sono altre che sono come mescolare fra le cianfrusaglie dei supermercati.
Il secondo aspetto della questione riguarda i frammenti. Ci sono alcune idee che sfuggono alla completezza, alla coerenza, alle teorie; che decidono di rimanere libere. Nessuno sforzo riesce a contenerle. Molte composizioni musicali importanti, sono così. Penso anche ad alcuni dei tuoi lavori che ho ascoltato. Frammenti. Clic.
Perché?
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Girolamo De Simone – Credo che alcune musiche siano simili a barlumi di luce. Restituirle con un aggravio retorico sarebbe per me profondamente ingiusto.
Devo dire che effettivamente anch’io penso di essere un canale, come diceva Giacinto Scelsi di sé e come forse anche Scriabin aveva già sperimentato. Questo comporta che la volizione paia collidere con la ricezione di questi contenuti, i quali per questa ragione assumono spesso forma aforistica. Altre volte, invece, l’idea è così forte da trascinarmi con sé per più tempo. È un po’ come seguire degli indizi che vengono rilasciati step by step. Ma devo sempre affrettarmi a coglierli, e mi prende una specie di febbre per giorni e notti. Così, però, vengono fuori lavori più strutturati, se posso usare un termine improprio. Difatti, questa ‘struttura’ non segue sempre le stesse linee o coordinate, ma si dà ogni volta indicazioni differenti, come se fossero segnali stradali che ti inducono a girare a sinistra o a tirar dritto, a scartare una soluzione per adottarne un’altra. “Monteverdi pianocloud”, ad esempio, è una composizione non breve, frutto di un procedimento di rallentamento. Ci sono arrivato perché tempo prima avevo realizzato un video, silenzioso ma rallentato: “rallentare il silenzio per comprendere meglio il suono”. Da questo procedere paradossale, ho registrato un brano di Monteverdi, ho poi estratto quattro sequenze armoniche, le ho rallentate finché possibile, e da lì è partito un gioco di stratificazione con centinaia di frammenti elaborati con la sintesi granulare. In generale, che sia il frutto bruciante di una sola pagina, o un’operina, ad ogni passaggio le scelte vengono effettuate con una sicurezza che ormai non attribuisco più alla mia singolarità, ma appunto a una confluenza di linee, come le chiamava Michaux.
Tu parli di reazione biochimica. In realtà è bioelettromagnetica. È qualcosa di molto vicino e semplice, e che tuttavia è impossibile a dirsi, perché è nella sua natura assai sottile, un nesso interno/esterno. Qualcosa che seppur proceduralmente a portata di mano, non è esente da rischi. RIschi di indurre al frainteso, rischi di abusarne. Molti anni fa conobbi Donatoni e lo frequentai per circa un anno. Mi sorprese che usasse un pendolino per avere delle risposte sui brani che noi scrivevamo (il mio si intitolava Vitriolum). Allora mi parve una cosa assai eccentrica, incomprensibile come i rituali che faceva nella disposizione di piccoli oggetti davanti a sé. Solo molti anni dopo ho compreso. Si stava spostando da un iperstrutturalismo postweberniano verso qualcosa di più vicino ai flussi della musica aleatoria. E, se ci pensi bene, in effetti i due estremi si
toccano. È anche importante segnalare che bisogna operare ‘per altro’, non per sé. Certi universi si rivelano estremamente fecondi di scoperte reali, nastri ritrovati, sintonie impensabili, rivoluzioni degli stili, soprattutto se non sono legate a un interesse personale, peraltro assai noioso per la nostra piccolezza individuale. E, ancora: non ci sono stati definitivi, perché il prendere e lasciare fa parte della nostra appartenenza al mondano, con una “realtà” – un movimento duale necessario – che ci attacca continuamente, e dalla quale è assai difficile astrarsi per attingere barlumi.
Basta leggere “Il castello interiore” di Teresa d’Avila per trovarne una descrizione.
“Musica sottile”
è un dialogo attorno alla Musica e allo Spirito fra Antonello “Zap” Palladino e Girolamo De Simone. Verrà pubblicato in cinque puntate settimanali.
A conclusione della serie, invieremo a tutti gli iscritti alla newsletter del lupo, nel “Giornale di Bordo” mensile, l’articolo integrale.
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Girolamo De Simone, nato a Napoli, vive e lavora alle pendici del Monte Somma, a ridosso del Vesuvio. Musicista e agitatore culturale, è considerato come uno degli esponenti delle avanguardie italiane legate alla musica di frontiera.
Pianista, elettro-performer e compositore, dopo l’esordio ufficiale (a Napoli, Villa Pignatelli, nel 1982, con Luciano Cilio), ha conosciuto personalità quali John Cage, Elliot Carter, Michael Nyman ed ha lavorato/interagito con alcuni dei più importanti compositori contemporanei, tra cui Luc Ferrari, Vittorio Rieti, Pietro Grossi, Luciano Chailly, Giuseppe Chiari, Daniele Lombardi, Giancarlo Cardini, Enrico Cocco, Ludovico Einaudi, Tuxedomoon e numerosi altri protagonisti della musica italiana e internazionale.