Qual è il mito che incarniamo? | Puntata 4 – Come uscire dal Labirinto?
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3 Maggio 2021“Non dare mai retta a coloro che vogliono aiutarti consigliandoti di rinunciare alle tue aspirazioni. Ormai la conosci la tua vocazione perché essa pesa in te. Se la tradisci deformi te stesso. Il suo potere lo conoscerai soltanto quando sarai divenuto.”
Questa puntata inizia con un paragone immodesto: quando l’editore gli fece notare che le interminabili descrizioni presenti nelle prime 100 pagine de “Il nome della rosa” risultavano piuttosto noiosette, Umberto Eco rispose che le aveva messe apposta perché gli interessavano solo i lettori che fossero stati in grado di superare lo scoglio iniziale del suo romanzo (*). In modo simile, ho voluto spremere subito tutto il veleno del “Principe” per selezionare quei lettori che non si sarebbero lasciati sopraffare dal disgusto per l’Ombra di Saint-Exupery.
Ho il piacere di comunicare ai superstiti che d’ora in poi da “Cittadella” verranno estratti solo diamanti:
“Io so che una cosa è bella, ma rifiuto la bellezza come fine. Hai forse sentito lo scultore dire: ‘Da questa pietra caverò fuori la bellezza’? Ma il vero scultore lo sentirai dire: ‘Cerco di trarre dalla pietra qualche cosa che somigli a quello che sento dentro di me. Io non lo so esprimere se non tagliando la pietra’. […] Egli è forse come il pastore o il carpentiere senza intelligenza, poiché la creazione non è fatta di intelligenza. E ti mescola l’argilla senza sapere bene quello che ne trarrà. Non è soddisfatto: dà un colpo di pollice a sinistra. Poi uno verso il basso. E il suo volto soddisfa sempre più qualcosa che non ha nome ma pesa dentro di lui. Il suo volto somiglia sempre più a qualcosa che non è un volto. E non so neppure che cosa significhi, qui, il somigliare. Ed ecco che questo volto modellato che ha ricevuto una somiglianza inesprimibile è dotato del potere di trasportare in te ciò che animava lo scultore. E tu sei legato come lo era lui. Poiché quello non ha agito attraverso l’intelligenza ma attraverso lo spirito. Ed è per questo che ti dirò che è lo spirito che regge il mondo e non l’intelligenza. [I veri scultori] non lavorano mai per i mercanti né per se stessi, ma per quel vaso di terracotta dal manico ricurvo. Essi vegliano per una forma che a poco a poco li soddisfa intimamente. [Perché] l’uomo è fatto in modo tale che gioisce soltanto di quello che lui stesso crea. E che gli ha reso necessario, per gioirne, compiere una faticosa ascesa”. [Perciò] “Non dare mai retta a coloro che vogliono aiutarti consigliandoti di rinunciare alle tue aspirazioni. Ormai la conosci la tua vocazione perché essa pesa in te. Se la tradisci deformi te stesso. Il suo potere lo conoscerai soltanto quando sarai divenuto. Perché è un uomo vero solo chi [ha seguito la sua vocazione] ed è costruito dall’interno. Lo sguardo che si posa su di te è pieno di luce perché è di un uomo abitato”.
La metafora della scultura ricorre spesso in “Cittadella”, insieme a quella dell’albero: “Il cammino dell’umanità è come un albero che cresce e continua da un uomo all’altro”. Anche l’impero è paragonato ad un albero che cresce o ad una nave che viaggia nel tempo: “Cittadella! Ti ho dunque costruita come una nave. Ti ho inchiodata, equipaggiata e poi abbandonata al tempo che altro non è se non un vento favorevole”. Per inciso, quest’ultima metafora mi ha colpito particolarmente perché mi è capitato spesso di pensare al mondo come ad una nave che solca il tempo diretta chissà dove.
Il Principe si sente chiamato ad una missione: egli è “il capitano che veglia sulla città”, “il traghetto a cui Dio ha affidato una generazione [per portarla] da una sponda all’altra”. Il Principe è l’architetto dello Stato, che Saint-Exupery paragona ad un tempio: “Se ogni pietra non è al suo posto, il tempio non esiste. Ma se ogni pietra è al suo posto ed è al servizio del tempio, allora quello che conta è soltanto il silenzio che è scaturito da” essa. I sudditi sono contemporaneamente pietre e costruttori, perché un impero “si fonda su quello che gli uomini devono dare, non su quello che viene loro concesso… Se vuoi che siano fratelli, obbligali a costruire una torre. Ma se vuoi che si odino, getta loro del grano… […] Vuoi che si amino? Non gettare loro un briciolo di potere da spartire. Ma fa in modo che uno serva l’altro e che questi serva l’impero. Allora si ameranno poiché si sorreggeranno a vicenda e costruiranno insieme. […] Non inventare un impero dove tutto sia perfetto… Inventa un impero dove tutto sia semplicemente fervido… Io non conosco che una sola verità, la vita, e non riconosco che un solo ordine: l’unità quando essa domina i materiali. E poco mi importa che i materiali siano disparati. Il mio ordine è l’universale collaborazione di tutti attraverso uno, e questo ordine mi obbliga alla creazione permanente”.
E’ il Principe a conferire un senso alle cose: “Un popolo circonda il suo re. Il re lo conduce verso uno scopo… Gli avvenimenti non hanno altra forma se non quella che il cercatore darà loro… Io non muto nulla di ciò che deve accadere stasera, ma l’albero di domani spunterà dal mio seme…”. E qui Saint-Exupery sembra rivolgersi al Piccolo Principe: “Per il tuo cane, la realtà è un osso. Per la tua bilancia, la realtà è un peso di ghisa. Ma per te la realtà è di un’altra natura”. Perché, in fondo, il Piccolo Principe è un alieno: “In te c’è solo mare aperto e contemplazione della Via Lattea e provvista di silenzio e vittoria contro l’usuale, e ne avevi bisogno come del cibo, perché avevi sofferto a causa degli oggetti e delle cose che non sono per te”.
Ed è solo con uno sguardo alieno che il paesaggio urbano può mutarsi nel volto della Zona: “ebbi la sensazione che la strada nelle sue sottili deviazioni, nel suo procedere rispettoso, divagando e perdendo tempo – come per qualche rito o nell’anticamera di un re -, disegnasse il volto [della Zona] e che tutti quelli che la percorrevano, scossi dalle loro [carcasse] o dondolanti sui loro [passi] lenti, senza saperlo, acquistassero la capacità di” vedere”.
La deriva è una metafora della vita, il cui senso si capisce solo a posteriori: “E dovevi divenire… perché nascesse per te un volto dagli oggetti e si stabilisse una struttura che desse loro un senso attraverso gli spettacoli disparati del giorno”.
Guardandoti indietro, ti stupirai del percorso fatto e dirai a te stesso: “ho sempre avuto come il rimpianto di cose che non avevano ancora senso. Altrimenti perché avrei camminato nella direzione di quelle verità che non potevo immaginare? Per raggiungere pozzi sconosciuti ho scelto sentieri rettilinei che sembravano tortuosi. Ho seguito istintivamente le mie inclinazioni naturali come i bruchi ciechi hanno l’istinto della luce”.
Vista retrospettivamente, la mia vita è stato un lento incamminarmi verso un unico scopo: interpretare la tecnica della deriva come un rapporto ludico con l’Essere. In ciò sono stato influenzato da diversi fattori: in primo luogo, il fatto di appartenere ad una generazione che ha passato il tempo a giocare: se questo è stato definito il “secolo ludico”, lo è a causa dei figli del baby boom. In secondo luogo, la consapevolezza che, siccome l’inquinamento ormai non lo controlla più nessuno, il mondo è alla deriva (non a caso il termine “deriva” ricorre sempre più spesso in espressioni come “deriva autoritaria”, “deriva sanitaria”, ecc.). In terzo luogo, il fallimento delle utopie rivoluzionarie, che ha portato un’intera generazione a ripiegare nei mondi onirici. A tutto ciò si aggiunga il mio essere insofferente alla realtà ordinaria, percepita come tossica, che mi ha portato a cercare dei modi non tossici per rianimare il cosiddetto “mondo inanimato”.
*U. Eco, “Postille a Il nome della rosa”, Bompiani, Milano 1984, pp. 25-26.
[continua nella puntata 4…]
LE 10 PUNTATE
“All’ombra del Piccolo Principe” di Paolo Maria Clemente è un articolo in 10 puntate a cura di Lupo e Contadino. Le prime puntate saranno disponibili liberamente sul sito; l’articolo completo sarà invece disponibile in esclusiva per i soci iscritti all’Associazione Culturale LUPO ETS.
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