Poesia al citofono 3
18 Gennaio 2017Poesia al citofono – 4
8 Febbraio 2017<<Un paese, un’unica fattoria costruita tra qualche terrazzamento sul fianco di una collina, umanizza il paesaggio fino all’orizzonte; la povertà e la solitudine custodite da queste pietre proiettano sul mondo circostante la presenza di un senso segreto e di un ordine desiderabile.>>
In una sola frase e con quest’ultimo esempio il sociologo Michel Freitag riassume e illustra quel che può esserci di problematico nell’architettura di oggi.
E, di conseguenza, quel che manca per tutti coloro – la maggioranza – che, non essendo in grado di costruire e plasmare da sé i luoghi in cui vivono, anche fosse in modo amatoriale, vorrebbero comunque potersi commuovere, rallegrare, divertire, ricordare, immaginare a proprio piacimento a contatto con spazi concepiti e fabbricati da altri.
Si può affermare, senza correre il rischio di venir contraddetti, che la maggior parte di quel che è stato costruito nel corso degli ultimi decenni nega, con rare eccezioni, qualsiasi piacere o desiderio di scoprirvi o di immettervi un significato al di là dell’utilità.
<<Al di là della funzionalità immediata dell’organizzazione dei luoghi e delle cose, che mondo si lascia intravedere e desiderare?>>
Quale presenza si può dunque riscontrare nell’ambiente urbano che ci viene proposto – imposto – oggi? Eppure non sono gli architetti, gli urbanisti, i paesaggisti, gli artisti a mancarci per tentare di ristabilire un dialogo tra gli abitanti e il loro habitat.ma è l’aver bisogno di tutti questi <<professionisti>>, <<esperti>>, <<specialisti>> e altri <<operatori>> come vengono chiamati, a mostrarci chiaramente che la capacità d’inventare, che dovrebbe essere essenziale per ogni persona sia in quanto abitante che nelle altre sfere della sua esistenza, non gli appartiene più.
Al di là della sua utilità, un’architettura, qualsiasi essa sia, non dovrebbe in queste condizioni dare una legittiità nuova al potere che può esercitare sull’immaginario degli abitanti? Non il potere di intimidazione e imposizione a cui ci riferivamo nell’introduzione al nostro discorso, potere di persuasione, anche clandestino, come nei templi del consumo – consumo culturale incluso, che si tratti di musei, teatri o opera – in linea con una società che prospera sulla passività della maggioranza. Quello di cui si tratta in questo caso è, al contrario, il potere d’incitazione dell’autoespressione. Philippe Garnier ci ricorda il criterio proposto da Picasso per un’opera d’arte riuscita: <<Il fatto che stimoli negli altri il desiderio di inventar – non in pittura, ma ciascuno nel proprio campo>>.
Questo vale evidentemente anche per l’architettura. Anche di più, si potrebbe aggiungere: essendo <<la madre di tutte le arti>>, potrebbe, data la quantità i registri estetici su cui può contare, far nascere delle <<vocazioni>> creative indirettamente nei capi più diversi tra persone che non sono architetti. Pensiamo, per esempio, a tutti coloro che sono diventati scrittori, pittori, fotografi o cineasti – conosciuti o sconosciuti, talentuosi o non, poco importa – per avere, in principio, preso in mano una penna o una macchina fotografica al solo scopo di condividere le sensazioni e le emozioni provate nel percorrere una città, un quartiere, una strada, una casa…
Di conseguenza non possiamo che rammaricarci che quando viene costruito sotto ai nostri occhi partecipi di questa architettura muta o indecifrabile che non offre alcun testo da leggere, tanto sterilizzante per lo spirito quanto la loquace monumentalità di cui si servono i discorsi, propagandistici o promozionali, dei potenti. E, poiché è necessario finire bene, chiuderemo con l’evocazione di uno di quei luoghi che ci parlano, come si usa dire, perché altri hanno saputo stabilire un dialogo attivo con essi.
Scegliamo quindi di trasportarci verso una di quelle isole delle Cicladi che il genio umano ha a lungo fatto passare per benedizioni degli dei.
Come non sentirvi vibrare di fronte a questi villaggi appollaiati sul bordo delle falesie che ci danno l’impressione che la neve sia caduta in piena estate, non fosse per i loro cubi armoniosamente pietrificati che, come per una poesia del caso, scivolano come onde verso il porto accogliente rannicchiato ai loro piedi? Prova inconfutabile, infatti, delle possibibilità di questa <<arte immediata dello spazio>> di cui parlava lo scrittore Jacques Lacarriére, poco prima che le invasioni del turismo di massa cominciassero a far sentire i loro effetti deleteri.
Sogniamo comunque un mondo, e cerchiamo di realizzarlo, in cui gli uomini, diventati tutti artisti, possono ricominciare a creare invece di accontentarsi di lavorare e consumare, ammesso che sia possibile associare la soddisfazione ad attività di questo tipo. Un mondo in cui ciascuno potrà fabbricarsi, con i mezzi disponibili, dai più rudimentali ai più elaborati, ma soprattutto con un proprio immaginario, un luogo simile a quello evocato dal grande poeta cretese Nicos Kazantzakis quando scrisse al crepuscolo della sua vita:
<<Nell’atroce istante della morte, chiudete gli occhi e, se vedrete Santorini, Nasso, Pasos, Mykonos, entrerete, senza nemmeno passare dalla terra, in paradiso. Che cosa sono il seno di Abramo e gli spettri immateriali del paradiso cristiano in confronto a questa eternità greca fatta di acqua, di rocce, e i vento fresco?>>
Tratto da:
Architettura e Anarchia – Un binomio impossibile / Lo spazio indifendibile – la pianificazione urbana nell’epoca della sicurezza – Jean Pierre Garnier