All’ombra del Piccolo Principe, alle origini del mito | Puntata 4/10 – Il caso, la scienza, la libertà
9 Giugno 2021Imaginación, Inspiración, Evasión – Conferenza di Federico Garcia Lorca (1928) | Traduzione italiana
10 Giugno 2021se guardi a lungo dentro l’abisso, l’abisso guarderà dentro di te!
“Conservate la vostra forma, siate stabili come la prua di una nave; quello che attingete dall’esterno trasformatelo in voi stessi come il cedro. Io sono la cornice, l’armatura e l’atto creatore che vi fa nascere. Ora voi dovete crescere e fondarvi come l’albero gigante che sviluppa le proprie fronde e non quelle di un altro, che forma i suoi aculei o le sue foglie e non quelle di un altro…”.
Queste non sembrano le parole del Principe: questa è la Zona che parla agli Stalker! Se le cose stanno così, quello che per Saint-Exupéry è l’Impero, per Castaneda è il Potere (o Aquila), cioè la misteriosa entità da cui gli Stalker – soprattutto quelli che si cimentano nella deriva infinita della vita – prendono ordini per le loro “missioni”.
Per inciso, ogni deriva è una missione e, come tale, non andrebbe retribuita oltre il rimborso spese. Evitando di fornire troppe spiegazioni in anticipo, lo Stalker porta i derivanti a giocare, “seguendo le regole di un gioco che loro stessi ignorano… E’ chiaro che il gioco è più forte dell’oggetto del gioco [perché] non si vive delle cose ma del senso delle cose”. Lo Stalker sa che la Zona catturerà l’animo dei derivanti con lo stupore, oppure li lascerà indifferenti. Ma questo non dipenderà dallo Stalker se non in minima parte: lo Stalker deve apparecchiare la tavola, ma le portate competono alla Zona.
La Zona “carica di un potere segreto alberi, montagne, fiumi, greggi e gole”. Il derivante impara presto che “Quando tu guardi una città, essa guarda te” (12). E non si tratta dello sguardo familiare degli umani ma dello sguardo alieno della Zona, che è un tutto inorganico.
Visto da fuori, il gruppo dei derivanti può sembrare quello dei “cerca cose” di Pippi Calzelunghe, perché in deriva capita di trovare delle cose: la custodia di un cellulare, un contapassi, un portafogli. E, tuttavia, come Stalker raccomando sempre di non prelevare nulla perché le cose in cui ti imbatti “non ti servono a nulla perché tu vivi per il senso delle cose”; il senso delle cose “non è da trovare ma da creare… Allo stesso modo, gli avvenimenti non hanno altra forma se non quella che il cercatore darà loro”. Lo Stalker, pertanto, deve cercare di fare in modo che i derivanti non si rallegrino “per degli oggetti [rinvenuti], ma per il volto [inorganico] che si legge in trasparenza e che li lega insieme”.
Il senso della deriva è “tendere a qualcosa. Diventa ragione al livello delle azioni. Ma non immediatamente… Perché questo dispiegarsi è questo e non un altro? Perché ha guidato questa guida e non un’altra? Sono domande destinate a rimanere senza risposta, perché non possiamo comprendere le motivazioni della Zona. Parafrasando Pascal, la Zona ha le sue ragioni che la ragione non conosce.
Anch’io, talvolta, mi chiedo: “chi conduce la danza, io o la città?”. Se la risposta psicologica è certamente “io”, quella filosofica è “la città”, perché lo Stalker è solo una falce nelle mani della Zona. “Il vero insegnamento non consiste nel parlarti ma nel condurti. E [la Zona ti conduce] nelle praterie invisibili di cui non avresti saputo dire nulla…”.
Lo Stalker deve diventare un docile strumento nelle mani della Zona, di cui scruta il volto: “quel volto di pietra che hai guardato e che ti trasforma […] E tuttavia si tratta di un volto senza volto, perché non c’è un lato preciso da cui guardarlo. La Zona è ovunque, perciò “colui che interroga cerca innanzitutto l’abisso”. E qui vengono in mente le parole di Nietzsche: “se guardi a lungo dentro l’abisso, l’abisso guarderà dentro di te!”.
L’intento segreto dello Stalker è di mostrare ai derivanti nientemeno che il volto di Dio; egli “può, con la sola forza dell’ingegno, scolpire un volto nuovo nella disparatezza del mondo e [invitare i derivanti] a guardarlo, a conoscerlo e poi ad amarlo…”. I derivanti che avranno ricevuto l’illuminazione non potranno più misconoscere il cenno divino che ha preso la forma di un evento: chi è capace di riconoscere i segni, impara a vedere il volto della Zona dappertutto.
La deriva non cambia nulla dell’ambiente circostante: prende tutti gli enti, ma li riannoda in modo diverso. La città rimane la stessa eppure viene trasfigurata come Zona.
Il tempo della deriva “non è una clessidra che consuma la sua sabbia, ma un mietitore che lega il suo covone”, dove il mietitore è la Zona, non lo Stalker. Allo Stalker spetta il compito di mettere la “punteggiatura” nel flusso ininterrotto degli eventi: dove far sostare i derivanti in attesa dell’oracolo, quando farli ripartire, quando far loro assaporare un’apparizione: “Ho deciso di porre qui le fondamenta della mia cittadella. Ho arrestato la marcia della carovana”.
Ma il compito di gran lunga più importante dello Stalker è quello di spostare l’attenzione dei derivanti dagli enti visibili all’Intero invisibile che li comprende. Lo Stalker è paragonabile ad uno sciamano in quanto il suo obiettivo è quello di suscitare nei derivanti un certo stato d’animo: “Perché non c’è passeggiare pigro al quale sia concesso di vedere. L’assemblaggio [della città], che è ciò che appare, non è niente, e come potresti cogliere di colpo [la Zona] quando essa non è che esercizio del tuo cuore? E chiamo [apparizione] la sola cosa che ti esalta”. Quello che conduce all’apparizione è “il passo miracoloso. Festa che corona il cerimoniale della marcia. Istante, benedetto tra gli altri istanti, che spezza la crisalide e offre il suo tesoro alato alla luce”.
L’apparizione si riconosce perché è uno spettacolo che si impone, facendo arrestare il moto dei derivanti; ma non bisogna mai accontentarsi dei doni della Zona, perché “non conosco festa alla quale tu non acceda venendo da qualche parte e attraverso la quale tu non vada da un’altra parte. Hai camminato a lungo. La porta si apre. E’ il momento della festa. Ma tu non vivrai di questa sala più che di un’altra. Tuttavia voglio che tu gioisca nell’oltrepassare la soglia che porta da qualche parte e riservi la tua gioia per l’istante in cui romperai la tua crisalide”.
Se potesse parlare, la Zona direbbe allo Stalker: “Non aver fretta di conoscermi, non c’è niente da capire in me. Io sono lo spazio e il tempo nei quali divenire… tu leggerai nel presente l’essere che intuisci. Tu lo enuncerai. Esso darà [ai derivanti] e alle azioni il loro senso”.
In deriva, infatti, non bisogna avere fretta, perché “tutto matura e si forma in silenzio, lentamente, senza quasi che ci si pensi. Il frutto, il ricamo o il fiore, per divenire, devono essere immersi nel tempo”.
Se poi la Zona regalerà emozioni ai derivanti, lo Stalker non deve commettere l’ingenuità di attribuirsene il merito. Ogni derivante dovrebbe rivolgere allo Stalker questa preghiera: lascia che sia io ad avvistare il segno, non me lo rubare, perché “non si tratta di mostrare te stesso, ma di farmi divenire. Ora, se tu agiti davanti a me il tuo spaventapasseri, andrò a posarmi da un’altra parte”.
Lo Stalker deve sempre tenere presente che agli occhi del derivante lui non è nessuno: “Tu non puoi attribuirti nulla. Non sei uno scrigno. Sei il nodo che ha fatto la Zona per attribuire un senso nuovo alle solite cose”; non sei “né un idolo da servire né uno schiavo per servire. […] Tu prepari l’apparizione della [Zona] con il solo fatto di averle dedicato fatica e sofferenza”. Ma se, malauguratamente, ti vorrai atteggiare a guru, io derivante ti respingerò: “Tu hai sbarrato la mia strada. Ti sei eretto sul mio cammino come un idolo. Non so che farmene di questo incontro”, andrò a cercare altrove qualcuno che sappia unire la sicurezza del suo passo alla purezza del suo animo, anche perché è solo all’impeccabilità che la Zona fa eco. Altrimenti rimane indifferente o, peggio, castiga (13).
Lo Stalker deve condurre i derivanti al cospetto della Zona e poi farsi da parte, perché è dentro il singolo derivante che deve risuonare qualcosa, e lo Stalker non può sapere in anticipo che cosa – nel campo percettivo – sarà significativo per quella singola persona e cosa no.
La principale virtù dello Stalker è quindi la discrezione, che al cospetto dell’apparizione coincide col silenzio, perché “se continuo a parlare prosciugo l’immagine, perché essa ha un debole potere… Perché qui l’immagine è un flebile lume che, benché come ogni lume spanda luce su tutto l’universo, illumina solo poche cose per i tuoi occhi. Ma ogni forte evidenza è un seme dal quale potrai trarre” la sensazione di aver avuto uno scambio con l’Altro.
Giocando con la Zona, i derivanti “fanno provvista di vastità e riportano nelle loro case la beatitudine che vi hanno trovata. E la casa non è più la stessa perché tutto si apre su qualcosa più vasto di noi. Tutto diviene sentiero, strada e finestra su qualcosa che è diverso da noi. […] Accetti di ricevere una visita di cui non sai dire il nome”: la Zona, il Potere, l’Essere, Dio…
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(13) “la Zona esige rispetto, altrimenti castiga”, dice lo Stalker nell’omonimo film di A. Tarkovskij (1979). Il motivo del castigo, dice Don Juan a Castaneda, è l’avidità.
[continua nella puntata 6…]
LE 10 PUNTATE…
“All’ombra del Piccolo Principe” di Paolo Maria Clemente è un articolo in 10 puntate a cura di Lupo e Contadino. Le prime puntate saranno disponibili liberamente sul sito; l’articolo completo sarà invece disponibile in esclusiva per i soci iscritti all’Associazione Culturale LUPO ETS.
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