EJ GOLD – INTERVISTA II PARTE
22 Febbraio 2015Peru Visionario
6 Marzo 2015W.H. Auden: “La verità, vi prego, sull’amore…”
Quando viene, verrà senza avvisare,
proprio mentre mi sto grattando il naso?
Busserà la mattina alla mia porta,
o là sull’autobus mi pesterà un piede?
Arriverà come il cambiamento improvviso del tempo?
Sarà cortese o spiccio il suo saluto?
Darà una svolta a tutta la mia vita?
Ditemi la verità, vi prego, sull’amore.
Premessa.Questa non è la recensione di un saggio, ma da qui trovo opportuno partire.All’inizio dell’anno abbiamo intervistato Igor Sibaldi, uno dei migliori amici de Il Lupo e il Contadino, partendo da uno dei suoi ultimi libri, Eros e Amore. Mi rendo conto che tante volte i titoli possono essere fuorvianti se non si conoscono gli autori o se non ci si dà la possibilità di aprirlo, il libro. E invece, a dispetto del titolo, che non c’entra niente con le sfumature di grigio, Sibaldi ci parla di amore e di eros alla sua maniera con l’acume e la chiarezza a cui ci ha abituati, portandoci oltre l’ovvietà dei significati, che è una delle cose più pericolose che ci siano. Dalle prime pagine viene chiarito che la parola amore, tanto ab-usata da non essere neanche più vista per quello che è, diventa dato l’uso inconsapevole, una parola tranello. Spiega l’autore che amore a causa del suo amplissimo uso per indicare le affezioni più disparate – non nel senso patologico, preciso: o forse si? – può essere foriero di ambiguità: amore per l’uomo o per la donna, amore per i genitori, amore per la vita, amore per il prossimo, amore per la musica e così via. Eppure, parrebbe che l’origine del termine sia ricollegabile all’amore nel senso di attrazione-possesso, quello di tipo sessuale, insomma. Kama, lemma sanscrito da cui deriverebbe amor (ma l’etimo è controversa) è la lussuria, il desiderio. L’altro amore, quello legato al voler bene, è invece meglio rappresentato da love e liebe, i corrispondenti inglese e tedesco. E vi è che le due anglosassoni sono connesse col latino liber e quindi, se ti voglio veramente bene ti lascio libero di essere quello che sei perché solo così potrai essere felice. Chiarito questo e riscontrato che, in effetti, la polivalenza semantica di amore può portare un certo numero di problemi perché, se ti desidero così tanto per me, come la parole kama suggerisce, torna perfettamente che io me ne freghi se tu sei d’accordo o no, perché non è il tuo bene che mi sta a cuore ma il mio, posso addentrarmi nelle mie personalissime riflessioni sull’amore. Si, prendete questa parola con le pinze ma, al momento, la lingua italiana che è quella in cui scrivo e in cui tutti noi pensiamo, non ne ha un’altra di utile alla bisogna.
L’amore, come visto, è di tanti tipi e non è mia intenzione fare una elencazione esaustiva. Parto da uno dei miei preferiti che è quello che si rivolge agli amici carissimi, vale a dire quel sentimento scevro dal desiderio sessuale che ti fa amare immensamente certe persone con le quali senti di avere costruito una famiglia oltre la consanguineità. A volte, se ci è dato, nei momenti di massima connessione, possiamo anche sentire espandere la nostra capacità di provare amore verso tutti gli esseri della terra, perché la nostra tendenza al giudizio si è azzerata e di conseguenza amplificata la capacità di sentire i punti di contatto con gli altri.
Se si prova questo tipo di amore, allora, perché perdersi nel piccolo? L’ho pensato tante volte, nei picchi di generosa espansione del cuore. Più precisamente intendo: perché perdersi nella più banale delle cose che può capitarti, la più scontata e la più limitante, per certi versi, ossia l’amore di coppia? Che poi, è l’amore per definizione perché se uno profferisce la fase “Lidia non ha ancora trovato l’amore” non pensi che Lidia non ha fatto in tempo a conoscere Madre Teresa per dedicarsi ad una vita di carità, ma che non ha ancora trovato un fidanzato. Bene. L’amore a due, se è solo a due, è veramente poca cosa. L’amore, se è esclusivo, nel senso che si rivolge solo ad un’altra persona escludendo il resto del mondo, mi sembra addirittura una roba da poveretti. E me ne frego dei principi azzurri, delle anime gemelle, del ti farò felice, del per sempre felici e contenti. Poca cosa.
Eppure, a meno che non si sia raggiunta davvero la santità, o qualcosa che ci va vicino, quello dell’amore a due è un desiderio di tutti, capace addirittura di lacerare come uno spasimo quando da troppo tempo manca. Però, mi dico, bisogna bastare a se stessi, coltivare la propria autosufficienza, in una sorta di autarchia dei sentimenti e delle emozioni. E questo perché tante volte ci si appoggia ad un altro perché si è incompleti in se stessi; si smette di conoscere l’altro e lo si usa come uno schermo per proiettare il proprio personalissimo film.
E rifletto ancora che però, a ben vedere, c’è dell’altro. C’è la speciale relazione che si compie nel numero due. Ed è tutta una questione di specchi. Quando siamo allo specchio cerchiamo noi stessi e quell’altro da noi che pure siamo ma che senza specchio non riusciamo a vedere. E noi siamo uno e l’immagine che di uno si riflette in uno specchio è una. Ma una più uno fa due. Ed ecco che, nella relazione a due, il rispecchiamento è davvero il più forte e il più intenso che ci possa essere, a patto che ci si dia la possibilità di vederlo, a patto che si mantenga lo sguardo occhi negli occhi, e non oltre le spalle della persona che si ha di fronte, che così si smette di conoscere smettendo di conoscere se stessi. È qualcosa di vitale questa conoscenza, ti senti mancante se non ti dai la possibilità di sperimentarla. Senti che ti manca qualcuno ma in realtà manchi tu a te stesso perché sai che c’è una parte di te che non ti è dato di conoscere senza l’altro. Senza l’altro che si mostra per quello che è. L’autenticità, vero punto d’arrivo nelle società umane in cui tutti indossiamo delle maschere, è premessa essenziale a questo processo. Per portarti incontro a tutto questo arriva una una serie di allettamenti. Si sa, così funziona la Natura: a tutto ciò che è essenziale per la nostra sopravvivenza di animali, si associa un piacere: il piacere del mangiare per nutrirci, dell’accoppiarci per riprodurci, dell’andare in bagno per liberarci dalle scorie. Ed è questo che fa anche la nostra anima, che ha bisogno di essere e di divenire se stessa, di incarnarsi tramite noi. Il suo piacere, l’anima, lo intravede nella possibilità di abbandonare le maschere di tutti i giorni per poter essere fino in fondo se stessa, per poter essere fino in fondo noi stessi corpo e mente. Questo piacere si annuncia simile a un sussurro: sto arrivando. E poi, la dolcezza straziante del pensiero, quando è memoria di carezze e di odori, si addensa alla bocca dello stomaco. Il piacere di condividere il segreto di se stessi senza vestiti, dei gesti, dei tocchi, del respiro, della conoscenza dei movimenti del corpo proprio e dell’altro, ignoti a tutti gli altri ti porta in giro frastornato. Così comincia l’amore a due, così comincia e poi può diventare qualcos’altro. Quando, trascinati da tutto questo arriviamo a provare quel sentimento così intenso che viene definito amore vero o vero amore. Il che vuol dire che esiste anche un amore falso, insincero, che si crede amore ma non lo è. Rifletto ancora e mi dico: questo amore vero è anche eterno. No, non lo è nel senso che le persone che lo stanno provando rimarranno insieme per tutta la vita: potrebbe accadere come non. Il sentimento in sé lo è, anche quando senti che la relazione deve finire e che non puoi essere più te stesso se continui a stare accanto a quella persona.
Lessi sulla vetrata di una chiesa, una volta, l’amore è conoscenza. Ora tralasciando la filosofia e la teologia, in effetti, non si può pensare di amare qualcuno o qualcosa se non lo si è visto per quello che realmente è. Solo quando questo accade, la qualità del sentimento è elevata. C’è intensità, c’è autenticità e quindi amore vero. Un sentimento tanto intenso ha il potere di trascendere la percezione cronologica del tempo, entrare nella sua assenza e trovarvi asilo. Te ne accorgi quando la memoria ti porta indietro scampoli di passata intensità. Mi attraversa la mente un’altra frase, un motto o proverbio, non so: in amor vince chi fugge. Certo nelle schermaglie di coppia, nel gioco della conquista e del desiderio è piuttosto vero: chi si concede e poi si nega, chi si fa desiderare, vince la gara della seduzione. Se invece si pensa all’amore come ad un’attività, come a qualcosa che muove e vivifica chi lo prova, no. Essere amati senza amare può dare ben poche soddisfazioni. L’amore che ci viene donato conta solo se siamo in grado di riceverlo. Diversamente non esiste, è come non averlo. Il ricevere implica un’attività: non si riceve senza partecipare, senza volerlo. E generalmente questa accettazione dell’amore comporta che si provi lo stesso tipo di sentimento. Come lo spalancarsi di due porte poste una di fronte all’altra davanti ad un unico “apriti sesamo!”. Gradi inferiori di intensità determinano il socchiudersi delle porte e quindi la capacità di accogliere dentro di sé l’amore dell’altro. Se resta fuori è come se non ci fosse. Per questo penso che se in amor vince chi fugge il più ricco, forse non il più forte, è chi ama, non chi viene amato. L’oggetto d’amore è l’occasione che l’amore ha di venire al mondo ma già c’è, né smetterà di esserci se l’investito da questi sentimenti decide di scansarsi per non accettare il dono. Come fece la spietata protagonista della Ballata dell’amore cieco. Lei fu la più forte ma fu presa da sgomento/quando lo vide morir contento./Morir contento e innamorato/quando a lei niente era restato/non il suo amore, non il suo bene/ma solo il sangue secco delle sue vene.
E con questa, in un inchino, mi congedo.