Anni ’90. I televisivi anni ’90. La macchina corre insicura su quelle strade piene di buche di un paesino della Basilicata. E’una Panda Bianca 750.Il ragazzo alla guida, neopatentato, ha appena compiuto 18 anni, ama le letture, le donne, ma ha un grosso difetto: è un gran sognatore. Sogna molto, ma conosce poco il mondo. Ha desiderato tanto guidare la macchina, per poter ascoltare finalmente la sua musica preferita “on the road”, immaginare così grandi viaggi e grandi avventure. Negli ascolti è ancora acerbo e da sognatore patentato, lo attirano molto i gruppi anni ’70, quelli barbuti, vestiti a fiori e capelloni. Le mani al volante, i pensieri altrove, fuori è inverno e in sintonia, malinconicamente, nell’autoradio gira una cassetta: “l’America del Rock Vol.5 – La musica della rivoluzione dei fiori”, una di quelle cassette che davano in allegato con “La Repubblica”. Suo padre le aveva comprate tutte, anche se lui, nell’aspetto, di rock psichedelico aveva ben poco. La sua traccia preferita era la n.3: Genesis di un tale Jorma Kaunonen, un tizio con un nome così strano, mai sentito prima, ma con una voce e una melodia capaci di trasportarti.
Anni ’10, del 2000. Gli anni del cambiamento. Non so bene cosa sia rimasto di quel ragazzo, trentenne, diventato sicuramente più cinico e realista. E’ lì al Folk Club di Torino, in piedi, appoggiato ad una colonna, da solo. Si guarda intorno, il locale è molto piccolo, il palchetto davanti a lui è già attrezzato: c’è appoggiata una chitarra, un leggìo, una sedia, due microfoni, un asciugamano bianco e una bottiglietta d’acqua. Una luce illumina la sedia, perfetta metafora dell’attesa. Il ragazzo si guarda attorno, la maggior parte dei presenti sembrano rockettari decaduti, panzuti, raffinati e occhialuti, di quelli che sanno tutto di musica e poco di vita.
Entra Jorma Kaukonen, storico chitarrista dei Jefferson Airplane. Quella sedia vuota carica d’attesa è per lui. Inizia a disegnare melodie sognanti con la sua voce particolarissima; la sua tecnica è pulita, da bluesman bianco prestato al rock psichedelico, guida la sua chitarra con sicurezza e grande maestria. E’un’acustica delicata, che trasmette tranquillità sempre con un pizzico di malinconia.
Un signore in prima fila, sulla cinquantina, brizzolato, pettinatura con una riga al lato e viso da buono che trasmette tenerezza, non appena lo vede entrare e inforcare la sua chitarra, ha gli occhi che brillano per la gioia, che rendono ancora più fragile la sua espressione. Stona molto quel viso con la camicia quasi completamente sbottonata. Riprende il concerto con il suo I-Phone. Gli altri signorotti davanti a me continuano a messaggiare e a fotografare con il loro cellulare. Chissà che fine faranno nel futuro per forza più maturo, tutte quelle foto fatte in questi anni infantili di tecnologia dell’immagine.
Il terzo pezzo di Kaukonen è proprio lui: Genesis e appena inizia a suonarlo, un buco spaziotemporale viene aperto dalle note di quella chitarra, dritto dritto in quelle emozioni vissute nella panda bianca. Il cuore si apre: forse in quella cassetta della “Repubblica” c’era già scritto questo futuro.
Dopo due ore di un pezzo di storia della musica americana, il concerto è finito, Kaukonen si alza un po’irrigidito, ha il mal di schiena e non riesce neanche a piegarsi per fare un inchino.
Lo Zappatore – Live from Torino
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